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lunedì 5 novembre 2012

CODE NAME: GERONIMO diretto da John Stockwell e scritto da Kendall Lampkin. Ripresa di un’operazione complessa.

autore: Andrea Alessio Cavarretta (IppoKiro)
Recensione in anteprima europea del film  CODE NAME: GERONIMO      30 Ottobre 2012, Sala Anica - Roma



L’anteprima europea organizzata a Roma nella sala Anica dalla distributrice Koch Media del film CODE NAME: GERONIMO termina in un particolare silenzio.

L’opera cinematografica di John Stockwell – ex attore e regista già conosciuto (Blue Crush-2002, Trappola in fondo al mare-2005, Turistas-2006) insieme a Kendall Lampkin – neosceneggiatore, è un’operazione complessa, il tentativo di trasporre in film, un avvenimento forte che, in una dimensione attuale così immediata nel recepire ed assorbire ogni accadimento, forse si potrebbe già considerare storicizzato.

La pellicola è un percorso di circa un’ora e mezza, tutto centrato nella medesima vicenda fatta eccezione per un breve antefatto d’ambientazione e stile.
L’argomento narrato prevale su tutto ed è atteso ancora prima di entrare in sala.
Vera protagonista, così, è la storia stessa, nemmeno l’evento clamoroso finale: la comunicazione all’umanità da parte del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che Osama bin Laden è stato ucciso dagli americani; di questo accadimento ogni individuo ne è ampiamente a conoscenza, ed al suo palesarsi conclusivo si viene preparati in tutta la rappresentazione cinematografica, attraverso molteplici input, in una lunga attesa.

Molto ardua l’intenzione di una narrazione il più possibile cronistica, l’obiettività è di certo intrinseca al fatto stesso, ma qui  l’oggetto tende a sfuggire data la vicinanza e la potenza dell’evento rappresentato di cui di certo ancora non si può avere una percezione distaccata. La chiave di lettura autoriale è d’altronde palesata in molti frammenti e soprattutto nell’interrogativo che si delinea nell’inequivocabile sentenza collettiva, ma allo stesso tempo nell’irrimediabile problematica che si pone verso qualunque fine umana.



CODE NAME GERONIMO è un film limpido ed uniforme, con sceneggiatura e regia abbastanza pulita, senza troppe esagerazioni, forse leggermente rallentato in alcuni momenti anche per la presenza di inevitabili lunghe scene che comunque hanno il merito di introdurre vari dialoghi necessari alla comprensione dei legami interpersonali.
La pellicola è lineare, con tensione dosata, senza ardue impennate se non nel suo necessario e preteso acme finale, tenuto a freno forse anche un po’ troppo.

Il dipanarsi della vicenda vede l’azione di tre squadre, con compiti e ritmi operativi intimamente legati ma chiaramente distinti, la prima,  l’equipe della CIA, dà le direttive, la seconda, il gruppo informatico, osserva, la terza, la squadra di militari, più importante, ha un carattere operativo, ed a lei è affidato il compito anche drammaturgico, ad eccezione di alcuni momenti, di scandire gli eventi e di mantenere il ritmo in tutto il film.  
Lo spettatore è messo in grado di distinguere chiaramente, all’interno della struttura generale, tutti i singoli accadimenti riferiti a ciascuna equipe, anche se spesso incrociati ed accavallati, da ciò ne deriva una varietà di ascolto e di interesse.
Le tre storie si intrecciano di continuo ma l’incedere non è mai caotico e troppo veloce, la tensione visiva non arriva mai al massimo e questo permette di seguire tranquillamente tutto il corso degli eventi che arrivano con ordine alla loro conclusione.

Molto interessante la resa del rapporto uomo-macchina, sottotrama evidente che attraversa tutto il film sia nella sua rappresentazione di alto livello, la tecnologia impiegata dall’esercito, sia quella quotidiana, lettori musicali, visivi, social network. Questo inserimento massiccio dell’ “Homus Tecnicus”, oramai completamente connesso con il nostro essere, riesce ad umanizzare completamente la storia e ad avvicinare al nostro semplice esistere tutti i personaggi, che in molte scene si arricchiscono, proprio tramite l’uso degli strumenti tecnici, della loro tensione sentimentale individuale, sino ad amplificare il loro pathos emotivo anche verso di noi.
Solo in alcuni casi la rappresentazione tecnologica è sovrabbondante e produce  il rischio di far scivolare tutto in una sorta di grande game, simulatore di guerra, ma al contempo risulta interessante perché aiuta a preparare lo spettatore al suo utilizzo massiccio finale.
In alcune scene si vorrebbe provocare un effetto sorpresa ma il gioco finzione-realtà, qui troppo semplicistico, ne risulta leggermente compromesso.
Alcuni escamotage registici, spesso prestati dal videogioco, invece sono di sicuro effetto: molto particolari le riprese laterali in movimento, e varie inquadrature per altrettante scelte di punti di vista inconsueti.

La normalità, il vivere comune, è un interessante filo conduttore. All’interno di un’operazione che pare forse assurda ed esagerata è la consuetudine, alter ego collettivo, ad essere esaltato come riferimento alla semplice stessa umanità, e questo accorgimento avvicina definitivamente il pubblico a tutto il susseguirsi degli eventi.

Il  sentimentalismo di sottofondo non è eccessivamente pompato all’americana, forse leggermente evidenziato in un paio di scene da competizione cameratesca, ma come non parlare almeno di un amore, del suo tradimento, di un qualsiasi sentimento umano che possa provocare una mancanza improvvisa di concentrazione destinata  a compromettere tutto il delicato apparato!?

Gli attori sono tutti nella norma, senza richiesta di grandi pretese interpretative, scelta di sicuro fatta per nulla togliere alla vicenda narrata.
Meritano comunque un cenno William Fichtner, algido direttore di tutta l’operazione, la sua sapiente ed inesperta assistente Kathleen Robertson, il burbero ma sentimentale militare Anson Mount,  e due interpreti minori, i componenti dell’asettica ma indispensabile troupe informatica Rajesh Shringarpore e Maninder Singh.

Le musiche eccezionali, incalzanti, emozionanti, ritmate di Paul Haslinger fanno da cornice emotiva.
Alcune immagini conferiscono anche alla fotografia di Peter Holland un buon ruolo che in alcuni momenti riesce a sorprendere: squarci di cieli azzurro cupo, chiaroscuri, angoli bui esaltati da forti bagliori.

Nell’insieme CODE NAME: GERONIMO riesce già a narrare l’operazione complessa appena avvenuta, quindi vale la pena andarlo a vedere, non si può uscire dalla sala insoddisfatti.

Ma in quello stesso silenzio che ha dominato la conclusione dell’anteprima romana del film mi chiedo, siamo già pronti a vedere la rappresentazione cinematografica della storia dell’uccisione di Osoma bin Laden?
Quando la memoria dell’evento narrato non sarà più così presente il lavoro diretto da John Stockwell e scritto da Kendall Lampkin sarà in grado di rappresentare a pieno questo forte accadimento?
Ma io vivo ora e non posso rispondere, e voi?



CODE NAME: GERONIMO
Scritto da Kendall Lampkin - Diretto da John Stockwell
Attori  Cam Gigandet – Anson Mount - Freddy Rodriguez – Alvin Xzibit Joiner - Kathleen Robertson -  Eddie Kaye – Thomas Kenneth- Thomas Kenneth Miller –Robert Knepper – William Fichtner - Rajesh Shringarpore e Maninder Singh
Musiche Paul Haslinger  - Fotografia Peter Holland  - Montaggio Ben Callhan  - Scenografia Guy Barnes - Costumi Miye Matsumoto
Prodotto da Nicolas Chartier - Zev Forman - Anthony Mark
Casa di produzione Voltage Pictures insieme a Picture Perfect Corporatio
Distribuito in Italia da Koch Media


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