autori: Annalisa Laghi (XyzKira) e Lucia Paolantonio (RadioKira)
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arte
La recente costruzione della Chiesa di San Pio da Pietrelcina a Malafede (2010) mostra quanto il compito di caratterizzare il nuovo volto della Roma contemporanea sembri essere affidato, come d’altronde ‘racconta’ anche la tradizione urbanistica della città, all’architettura religiosa, oggi più che mai campo privilegiato di sperimentazione e fusione di nuovi linguaggi.
Ancora poco noto ai circuiti turistici e forse agli stessi cittadini romani, l’originale complesso architettonico nasce nel 2005, nell’ambito del concorso 50 chiese per Roma, promosso dalla Diocesi e dal Vicariato romani(1993), lo stesso concorso che nel 2003 destinò un’area nel quartiere di Tor Tre Teste alla realizzazione della chiesa Dives in Misericordia dell’architetto statunitense Richard Meier. Questa volta il progetto della costruzione sacra, atto ad arricchire il rione Malafede[*] e, più precisamente, una delle più vaste aree verdi della città conosciuta con il nome di comprensorio “Giardino di Roma”, appartiene allo Studio di Architettura Anselmi & Associati.
“Il rapporto tra l’uno e il molteplice” perno della progettazione elaborata da Alessandro Anselmi , tra i fondatori del GRAU (Gruppo Romano Architetti Urbanisti), in collaborazione con Valentino Anselmi e Valerio Palmieri, si delinea in geometrie apparentemente semplici che culminano nel gioco delle due facciate: il prospetto anteriore tracciato da una serie o meglio, come le definisce Alessandro Anselmi, una “molteplicità di curve disegnate a mano libera”, precisamente tre, e quello posteriore che, con un’unica curva, quasi a voler alludere al mistero della trinità, le unifica idealmente.
E proprio l’idea del sacro prende corpo attraverso la compresenza di materiali antichi e moderni, nel metallo delle strutture, nel cemento, nella pavimentazione in travertino fino alla preziosità del rivestimento della copertura ravvivato dai giochi di luce di un mosaico screziato di lucido di grès. I contigui edifici della canonica e della parrocchia non delimitano solo i confini del sagrato, ma circoscrivono anche uno spazio che non è soltanto quello del trascendente quanto anche del quotidiano, localizzano un luogo di richiamo e di aggregazione per gli abitanti del quartiere, essenziale per la sua stessa identità culturale.
E’ importante sottolineare che questo particolare edificio non si sarebbe mai potuto realizzare in tempi brevi senza l’ausilio del computer, medium contemporaneo dell’elaborazione progettuale che ha reso possibile dare forma, come ricorda Anselmi, ad un vero e proprio “panneggio dello spazio”. Un’interpretazione della contemporaneità che viene da un’architettura che non rinuncia al confronto con la tradizione urbanistica romana, specialmente quella barocca, appropriandosi di alcuni suoi elementi fondamentali come la curva. Così linee dinamiche, profili concavi o convessi prendono lentamente il posto di quello che per secoli è stato l’elemento fondante e caratterizzante della nostra città, la cupola, e a loro spetta oggi il compito di disegnare il nuovo “panorama” di Roma.
[*] Toponimo di origine medievale che connotava la pericolosità di questa zona di confine tra via C. Colombo e via Ostiense, all’epoca malsana e paludosa.
L'immagine a corredo è tratta dall'album di archiwatch
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