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martedì 27 maggio 2014

FRIDA KAHLO alle Scuderie del Quirinale




"Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io…" Frida Kahlo

Questo l’incipit della mostra su Frida Kahlo (1907 – 1954) alle Scuderie del Quirinale: circa 130 opere tra pitture, disegni e fotografie che raccontano la personalità e l’arte di una delle artiste più conosciute del XX sec.
La carismatica personalità di Frida ha in realtà spesso fatto passare in secondo piano le qualità artistiche della sua opera, ecco perché la curatrice della mostra, Helga Prignitz-Poda, focalizza l’attenzione su gli interessi artistici della pittrice e il rapporto con le Avanguardie.
Autodidatta, Frida si dedica alla pittura per ventotto anni con tele che rivelano la cura del dettaglio ed una calligrafia pittorica minuta; un corpus limitato, come ristretto è il campo dei temi trattati. Lontana dai grandi temi storici dagli intellettuali del tempo, pur rappresentando la propria terra, Frida lavora isolata, come se il dipingere fosse esclusivamente un’esigenza interiore e i quadri un modo in cui fissare ed esorcizzare paure e bisogni. Un elemento caratterizzante del suo linguaggio è l’aver utilizzato la propria immagine per comunicare. Due terzi del suo corpus pittorico è costituito da autoritratti (i miei soggetti sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me ho di frequente oggettivato tutto questo in immagini di me stessa.)
Ci accoglie un’opera che ben sintetizza questi aspetti, Autoritratto come Tehuana, 1943. Qui l’artista affronta il tema della trascendenza nell’amore: il volto dell’amato appare sul viso come terzo occhio, lei indossa il costume da Tehuana, simbolo di sacralità e forza delle donne messicane, dalle foglie che insieme ai fiori ornano i capelli si diramano in radici, come una magia capace di tenere saldo il legame tra i due. Frida è già un’icona: le sopracciglia folte e unite, la peluria sul labbro, il volto plastico che contrasta con lo sfondo decorativo. In questo modo l’artista si consegna alla storia: si affianca e partecipa alla cultura messicana di cui recupera l’almanacco sacro, riveste la sua arte di senso mitologico, ma afferma soprattutto la sua identità di donna.

La mostra prosegue ripercorrendo gli inizi della carriera. L’Autoritratto con abito di velluto, 1926, dipinto per il primo amore, Alejandro Gòmez Arias, un’opera raffinata che dialoga con l’arte del tempo. Non solo è evidente l’aspirazione verso un’arte alta, ma sceglie il proprio corpo quale spazio e teatro della messa in scena artistica.
La costruzione del messaggio è molto sottile: si parte da un accadimento reale, per lo più biografico, e attraverso l’utilizzo del simbolo si amplificano i livelli di lettura; il corpo diventa luogo sovversivo per antonomasia, anche per abbattere tabù sino ad allora mai toccati (Frida e l’aborto, 1933).
L’autoritratto, dunque, sarà la sua cifra stilistica e pennellata dopo pennellata Frida si mostra, senza pudore: circondata da animali (Autoritratto con scimmietta, 1945), accanto ad una bambola di gomma, o sanguinante con una collana di spine e colibrì morto (Autoritratto con spine, 1940). Una maschera dalle labbra serrate e lo sguardo fisso per rappresentare la perdita, la malattia, il tradimento, la solitudine.

Nel 1938 André Breton non esita a reclutarla nelle file del surrealismo. Iniziano le prime mostre, negli Stati Uniti prima, a Parigi poi, consapevole che l’accostamento ai surrealisti le avrebbe portato l’attenzione della critica; tuttavia le piaceva l’idea di essere considerata puramente messicana e la reazione all’etichetta surrealista non tarda a venire (Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà). In breve tempo l’artista ha maturato un linguaggio originale che trae linfa dalla cultura popolare degli ex-voto e dalla magia presenti nella mitologia messicana (Mosè o nucleo solare, 1945, L’amoroso abbraccio dell’Universo, 1949).

A partire dal 1944, in maniera irregolare, Frida terrà un Diario (presente in video), dove appuntare emozioni, paure, speranze: a buon diritto il Diario può essere considerato un’opera d’arte. Racconta la reazione al verdetto dei medici verso una malattia che avanza, la perenne sconfitta del corpo, la relazione instabile con Diego, la solitudine, la voglia di rinascere. In ultima analisi la terribile fragilità e la grandezza di questa donna.

Gli ultimi anni di Frida, combattuta tra l’idea della morte e la sete di vita, sono ben raccontati nelle ultime sale: i test psicologici di Olga Campos che chiede a Frida di mostrare le emozioni attraverso disegni, dove emerge la depressione e le Nature morte, o meglio nature vive, perché da questi cocomeri aperti, da queste melagrane escono polpa, semi, radici, ossia il ciclo della vita che continua.  





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