autore: Sara Saurini (AttiroKira)
VILLAGGIO VACANZE
Ognuno di noi ha le proprie convinzioni e tendenzialmente
alcune non abbiamo voglia di metterle troppo in discussione, o per lo meno per
me è così: sono certa che non acquisterò mai un cd di Gigi D’Alessio, che non
voterò mai a destra, che non comprerò mai una pelliccia e che non andrò mai in
vacanza in un villaggio… beh, ecco sul villaggio, insomma la coerenza è la
virtù degli stolti diceva Oscar Wilde o forse Jim Morrison o magari Socrate
(dipende più che altro dall’ultimo aggiornamento di Wikipedia!) comunque si,
faccio outing:
mi chiamo Attirokira, ho 34 anni compiuti da poco e sono
andata in vacanza in un villaggio.
Quello che segue è il resoconto che ho scritto nei sette
giorni di permanenza durante i quali ho più volte ringraziato tutte le divinità
pagane e non, per l’invenzione di internet e di Chuck Palaniuk e i miei
compagni di “avventura” (anche se parlare di avventura in un villaggio è un po’
azzardato) perché hanno contribuito ad evitare che per la disperazione mi
concedessi ai balli di gruppo.
Inizio dal primo giorno e poi mese per mese vi accompagnerò
sino all’ultimo indimenticabile momento della mia vacanza…
PRIMO GIORNO:
L’ARRIVO
Sono le cinque di mattina, non c’è una nuvola nel cielo, siamo in partenza: tre bambini e quattro adulti, inutile dire che le macchine
esplodono di bagagli, abbiamo portato acqua e cibo per sopravvivere ad un
evento nucleare, o se preferite, alla Salerno-Reggio Calabria.
Obbiettivo:
rilassarmi totalmente, nessun pensiero… solo riposo e mare/piscina, per
questo mi sono lasciata convincere ad andare in un villaggio vacanze, insomma
l’idea di non fare assolutamente nulla mi allettava e poi “basta con queste convinzioni snob, radical chic del cappero, il
villaggio è una figata, torni stremata dalle vacanze ogni anno, vedrai
quest’anno sarà vero relax!!”, disse la mia EX migliore amica.
Qualche anno fa sono stata in un noto centro sociale di Roma
per una serata Reggae in cui gli Africa United commemoravano il compleanno di
Bob Marley, tendenzialmente l’abbigliamento dei partecipanti alla serata era in
puro stile reggae, o classic zecca post-comunista, i meno interessati avevano
un normale jeans and
t-shirt, ma c’era una tipa con tacchi vertiginosi e
pantaloni aderenti bianchissimi che si guardava intorno con aria smarrita,
credo che a nessuno interessasse molto il suo abbigliamento, ma vi assicuro che
la sensazione era che fosse proprio nel posto sbagliato e lo sguardo attonito
che aveva confermava che lo pensasse anche lei, ma a quel punto presumo non
potesse tornare indietro.
Eccomi, io oggi sono come lei, entro nella hall del
villaggio e mi guardo intorno nel timore di trovare un cartello con la mia foto
e la scritta “io non posso entrare”, trentaquattro anni, zainetto in spalla,
figlia in braccio e libro di Palaniuk nella mano, non assomiglio a nessuno dei
presenti.
Non ho le infradito con i lustrini, nè uno di quei super
lucidissimi borsoni da mare che tutte le signore esibiscono, non mi sono
preventivamente abbronzata in qualche centro estetico e invece degli enormi orecchini
tanto in voga quest’anno porto i piercing che ho comprato a 16 anni, mai tolti
da allora; anche il mio tatuaggio è fuori luogo, la mia sirena old style con
due tette enormi e lo sguardo ammiccante è il tipico tatuaggio da scaricatore
di porto, niente a che vedere con le farfalle di Belen, le stelline e i
cuoricini che vedo in giro.
Mi si avvicina un tipo travestito da pagliaccio e penso “
forse se è il pagliaccio di IT ho ancora qualche speranza, magari mi uccide e la facciamo finita
subito…”.
Ovviamente, l’obiettivo del pagliaccio non sono io, perciò
dopo avermi liquidato con un rapido “benvenuta, hai fatto buon viaggio, fa
caldo eh?” senza che potessi avere nemmeno il tempo di rispondere, comincia ad
armeggiare con i palloncini e alla fine dopo due palloni scoppiati, tre nodi
sciolti, e un imprecazione a mezza bocca, confeziona una specie di enorme
calippo che regala a mia figlia, sostenendo che sia una spada, il frutto dei
miei lombi mi guarda con aria interrogativa e lo prende nella speranza che se
ne vada.
La sistemazione è carina, una specie di villetta a schiera
con una piccola veranda dotata di tavolino e sedie, dentro tutto il necessario
per una settimana di completo relax e fuori un labirinto di strade e stradine
tutte uguali costeggiate da oleandri.
Alle 19.30 cocktail di benvenuto e spettacolo a
bordo piscina per tutti i nuovi arrivati!
A caratteri cubitali questa scritta troneggiava su un
cartellone proprio all’entrata della hall, perciò fiduciosi e ottimisti siamo
andati a ricevere il nostro welcome immersi in una discussione tecnica sulla
qualità della menta necessaria per un vero mojito. Superata la barriera di
persone che sbarrava l’accesso ai tavoli, sono riuscita ad agguantare un
rustico che doveva sicuramente risalire al cocktail di benvenuto dell’apertura
di stagione, credo giugno, quanto ai cocktail più che altro erano sciroppi
allungati con acqua e ghiaccio, ne ho preso uno di colore verde acido perché
era la cosa che più si avvicinava al mojito, le mie papille gustative non ci sono
cascate, ovviamente.
Con lo spettacolo non è andata molto meglio, a parte
l’inevitabile siparietto necessario a presentare i vari animatori e le attività
del villaggio, si sono succedute una serie di scenette comiche, di alcune di
esse mi è sfuggito il senso complessivo, di una in particolare non saprei che dire,
di sicuro c'erano un ape e un tizio con un martello, ma per il resto sto ancora
cercando di capire perché tutti ridevano. Lo ammetto, un paio di volte ho riso
tanto per non sembrare fuori luogo, un po' come quelli che in chiesa fanno
finta di sapere quello che devono dire e muovono solo la bocca: “atto di dolore: mio Dio mi pento e mi dolgo
di aver scelto una vacanza in villaggio…” va bene, va bene non voglio
azzardare giudizi, è solo il primo giorno, domani andrà meglio.
Continua il prossimo mese....