Si voltò e rimase di pietra, lui, unicorno leggendario
della scuola di danza, perché il passo del maiale alato, non sapeva farlo.
Spinta indietro con la destra, e poi movimento di
bacino con rotazione e solo alla fine slancio.
Mentre alzavo la mia gamba in alto più che potevo gli
raddrizzavo quel nostro incontro quando, ad un mio semplice “ciao”, lui aveva
risposto altrettanto semplicemente “Grasso maiale vincerò io!”.
“Ma vaffanculo tu e tuoi zeppetti da mezzo cavallo” gli
stavo facendo ingoiare tutta la saliva prodotta per la creazione del mio passo
dal mitologico effetto.
Erano mesi che mi esercitavo su quel movimento,
alzata della gamba con slancio talmente repentino che mentre lo facevo gli accomodavo
il suo sorrisetto monnalitico nell’intestino, accompagnato dal suo inutile
superego direttamente attaccato al collo del piede, zoccolo compreso.
Io grasso maiale, d’improvviso leggero, potevo
alzare la gamba e roteare il bacino meglio di un unicorno, acidi grassi emessi a
litri solo per quell’infinito attimo di riscossa.
Salto d’immensa divinità cinese.
D’un colpo
con quel movimento proteso verso il cielo, gli scagliavo in faccia il macigno
pesante che mi ero sentito dentro, mentre lui senza stringermi la mano, era
riuscito ad ingrassare, con poche parole di cattiveria, il mio corpo.
La pietra di gomma che ero diventato gli rimbalzava
ora davanti alla bocca spalancata e mentre alzavo in su il mio arto ultramotorio
sentivo ancora le sue parole ma al contrario: “Oi òrecniv elaiam ossarg”, questa
era la lingua traslitterata e trasmutata dai grandi dei olimpici verso le
grosse divinità orientali; quella frase me l'ero ripetuta talmente tante volte
che mentre sollevavo la gamba la potevo ridire dentro di me in mille modi, non
solo al contrario, ma saltando le lettere una per una “Gas mil vneò o”, a due a
due “Grsoiaviereo!” solo consonanti, solo vocali, eliminando le pari, le
dispari, emulando solamente il suono od anche la sola sensazione lipidica.
Saltavo ed il tagliente filo spinato di cui lui
sembrava essere fatto, dopo averlo circondato, gli entrava dall’ano per uscire
poi dalla sua bocca ironica, facendo un suono stridulo che io potevo sentire
dal centro del palco, e che oscurava finalmente il suo nitrito beffardo e voltava
definitivamente il suo muso incornato in un angolo remoto d’inutile attesa .
Io, presunto suino perdente, in quell’attimo di poderoso
slancio, dimostravo a me e a tutta la scuola di danza che non era una questione
di materia ma di stile e che anche un grasso maiale, se ben equipaggiato di ali,
poteva anche solo per una volta ed anche solo con una gamba, volare.
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