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arte
Rain room: l'esperienza della pioggia.
Poco più di un mese fa la 55 edizione della Biennale di Venezia si preparava ad “aprire i battenti” con una serie di conferenze volte a valutare lo stato delle pratiche artistiche contemporanee, e proprio mentre ci si interrogava sul futuro della performance e della live art, ecco arrivare dall’oltreoceano le prime voci dei visitatori del MOMA di New York pronti a lunghissime code per prendere parte ad un esperimento artistico innovativo: la RAIN ROOM.
Uno spazio di circa 100 mq all’esterno del museo e
un diluvio artificiale dettagliatamente coreografato permettono al visitatore
di vivere "l’esperienza della pioggia" in modo del tutto insolito, passando
attraverso lo scrosciare dell’acqua, ricreandone
gli odori e le sensazioni pur senza esserne bagnati. Questo, grazie a numerose
telecamere 3d che, registrando i movimenti e la presenza nella sala,
interagiscono con il pubblico bloccando la pioggia nel momento e nei punti del
passaggio[1].
L’installazione sensoriale, alla ribalta soprattutto grazie al debutto
americano, era già stata presentata in una differente versione (animata dalle
coreografie di WayneMcGregor) al
Barbican Center di Londra (novembre
2012) ad opera di un gruppo di
artisti-progettisti di diversa provenienza, riuniti dal 2002 sotto il nome dello studio di
design rAndomInternational. L’interesse
per le scienze applicate in relazione allo studio dello sviluppo cognitivo e la sperimentazione continua delle possibilità offerte all’arte dal medium tecnologico sono alla base
del lavoro dei suoi fondatori, Stuart Wood, Flo Ortkrass e Hannes Koch che,
di volta in volta coinvolgono diverse professionalità,
nel tentativo di reinterpretare la “natura fredda “ del linguaggio
digitale.
Così dalle prime sperimentazioni dei Temporary Graffiti ed i
Pixell roller del 2005 si
arriva nel 2011 ad opere che
permettono, come la Temporary Printing Machine, attraverso la momentanea scannerizzazione dell’immagine dei visitatori su una tela bianca, di riflettere anche sulla tradizionale concezione
del ritratto, sul suo ruolo di conservazione della memoria rispetto ad una
rappresentazione che, proprio in virtù del suo carattere evanescente, valorizza
“il momento perduto”.
Sia che si tratti di sedi istituzionali (esemplare
l’installazione permanente del Victoria and Albert Museum di Londra), o
di ambienti multisensoriali appositamente creati come la RAIN ROOM, l’interazione
tra luce, movimento e frammenti di intelligenza artificiale trasforma questi luoghi nello spazio della
performance in cui tutti diventano, più
o meno consapevolmente protagonisti. Ingegneri, visitatori, ballerini, registi,
chiamati accanto agli artisti a rispondere all’annoso interrogativo: Live
Art—Are you here? Were you there?[2]
[1] La Rain
Room, nata da una lunga ricerca ispirata
dal clima piovoso di Londra, è attualmente parte di Expo 1: New York, uno dei numerosi progetti voluti da Klaus
Biesenbach, direttore del MOMA e dal
curatore Hans Ulrich Obrist, per analizzare i rischi ecologici in relazione
all’attuale instabile contesto socioeconomico, raccogliendo così, le nuove
sfide dell’ingegneria e delle scienze sociali.
http://www.domusweb.it/it/arte/2013/07/8/rain_room_random_international.html
[2] Si
tratta del titolo della prima conferenza di apertura della Biennale di Venezia
2013. Non a caso, tra gli artisti chiamati ad intervenire, figuravano i rAndom International.
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