Ho iniziato ad andare al Pride durante
gli anni dell’università, in una fase in cui ero pervasa dal germe giovanile
della lotta per i diritti civili e praticamente ho partecipato, ogni volta che
ho potuto, a qualunque manifestazione rientrasse in questa categoria, poi ho
allentato la presa a causa della vita che crescendo si complica, della pigrizia
e per alcune tipologie di manifestazioni anche del percorso politico, anzi non
politico, che certi temi hanno preso, ma il Pride non l’ho mai abbandonato, me
ne sono resa conto sabato quando un mio amico, mentre sfilavamo per le strade
di Roma, mi ha fatto notare che mia figlia c'era “cresciuta dentro” perché in
effetti la prima volta che l’ho portata era ancora nel passeggino e ora ha
quasi tredici anni.
Io appartengo a quella che potrebbe
essere definita una categoria “quasi privilegiata”, il quasi è perché sono
donna, che dal mio punto di vista è assolutamente piacevole, anche se perde il
suo fascino quando la mia scollatura attira considerazioni non richieste o,
vengo valutata prima per il sesso e poi, forse, per le mie competenze
professionali. Comunque, sono bianca, più o meno etero, ho una figlia e il
fatto che non sia ancora sposata, avendo comunque una relazione stabile, è
ormai un elemento che non desta poi così tanta riprovazione sociale.
In considerazione del mio “status” nel
corso degli anni ho dovuto rispondere alle seguenti domande, se pure formulate
o combinate nelle maniere più diverse:
·
Ma
che ci vai a fare, non sei etero?
· È
una carnevalata senza senso, ho visto le immagini di gente che ballava in
perizoma in pieno giorno, secondo te è normale?
·
Non
è così che si lotta per i diritti, non serve sbattere in faccia al mondo la
propria diversità, non si può essere diversi anche fra le mura di casa propria
senza tutto questo clamore?
·
Ci
porti tua figlia? In mezzo a tutta quella gente nuda e con il perizoma?
…sulla questione perizomi ho rimarcato
anche poco, perché vi assicuro che per una larga parte delle persone con cui ho
parlato la presenza di questo indumento sembra piuttosto rilevante…
Inizialmente, rispondevo con sommo
disappunto e riprovazione nei confronti di chi mi faceva queste domande e, devo
ammetterlo, con un “filo di superiorità” assolutamente ingiustificata. Poi,
sono cresciuta e in quelle domande ho visto l’opportunità di informare chi non
sapeva di cosa stava parlando, così ho provato a raccontare di Sylvia Rivera e
della sua scarpa/bottiglia/borsetta (a me piace la versione della leggendaria scarpa
con il tacco) lanciata per esasperazione contro i poliziotti newyorkesi e le
loro angherie, delle rivolte che questo gesto di liberazione generò per giorni
nelle strade di New York e della nascita di un movimento che innanzitutto
rivendicava l’esistenza di una comunità da sempre costretta a nascondersi, ma
onestamente il ruolo della professoressa mi si addice poco e poi su un tema
come questo mi sembrava quasi di fare “appropriazione culturale”, come dicono
quelli bravi, anche perché ho iniziato ad andare al Pride, molto tempo prima di
sapere tutte queste cose.
Io vado al Pride per tuttə quellə che non ci possono
andare o devono andarci di nascosto.
Io vado al Pride per chi non si riconosce
nel mondo che lə circondə, ma non sa ancora come spiegare questa sensazione.
Io vado al Pride per chi nei prossimi
giorni sbircerà nei social per vedere un mondo che vorrebbe conoscere e
convincersi di non essere solə, anche
se in quel paese di pochi abitanti in cui vive, omosessuale o trans sono
parole usate per insultare e se non ti vesti secondo lo standard ti sentirai
addosso gli occhi e il biasimo di tutti quelli che incontrerai per strada nemmeno
fossi un alieno arrivato per conquistare il pianeta terra.
Io vado al Pride perchi ha detto ai genitori che andava al
mare per il weekend e invece era a pochi kilometri da casa a scatenarsi con
un top fuxia pieno di lustrini che ha nascosto per settimane in cameretta, nemmeno
fosse una pistola, poi tornerà a casa raccontando che il mare era mosso, ma
bello e, durante la cena, annuirà in silenzio alle parole del padre che
commentando le poche immagini del Pride trasmesse al telegiornale, sentenzierà
che è solo una carnevalata.
Io vado al Pride per chi ha preso schiaffi, calci e pugni perfino da chi avrebbe
dovuto difenderlə.
Io vado al Pride per chi desidera poter chiamare famiglia
le persone che ama e che ricambiano, aldilà dei legami di sangue, un’unione di
anime che prescinde dalle categorie create da una società che ripudia e
ghettizza chi sceglie di essere sé stesso senza compromessi.
Io vado al Pride perché è un giorno in cui la comunità
LGTBQ+ mostra con orgoglio le sfumature dell’arcobaleno che la compone nelle strade delle città, senza paure, senza remore, racconta che
esiste, vive, ama e colora il mondo.
Sabato scorso un milione di persone hanno sfilato a Roma e per
motivi diversi hanno indossato le proprie personali scarpette rosse, proprio
come Dorothy nel Mago di OZ, per esprimere per l’ennesima volta un desiderio di
libertà, poi, metaforicamente, ad un certo punto, tutti le hanno sfilate e
lanciate proprio come Sylvia Rivera, in quel lontano 27 giugno del 1969, perché
a volte ci vuole un gesto estremo per risvegliare le coscienze. Ogni anno
questo lancio di milioni di scarpette rosse contribuisce a creare una crepa
sempre più grande nel muro innalzato da chi fomenta le discriminazioni e io
spero, da quasi privilegiata quale sono, di contribuire ad allargare la crepa,
anche se solo con una scarpetta rosa pallido e di essere lì a vedere il giorno
in cui questo cazzo di muro cadrà definitivamente.
- Sara Saurini -
_KIROLANDIA®_
Immagini a corredo: ph. Kirolandia