autore: Marcella Sullo (CandidKira)
Cinemistica applicata
Novembre si è appena concluso.
Nelle sale ha visto trionfare la comicità di Checco
Zalone e la potenza muscolare del mitico Thor, ma i cinefili, capitolini e non,
si sono affollati attorno al red carpet del Festival del Cinema di Roma. Se
dovessimo definire quella che è stata la parola chiave di questa kermesse direi
che “strada” è il termine più adatto. Sembra che “l’on the road” tiri ancora
moltissimo almeno per quanto concerne il cinema nostrano. Che sia una metafora
di vita, un modus operandi, chi può dirlo. Si è, però, manifestata in tutte le
sue forme. In tutte le accezioni che possono scaturirne. Ed è stato anche un
trionfo della formula documentario, docufilm, reality, come se ormai fossimo
incapaci di raccontare qualcosa che non sia una fotografia della quotidianità, come se la fantasia si fosse spenta e il cinema,
che da sempre ha raccontato i sogni, avesse chiuso la sua finestra sull’evasione,
e oggi avesse esaurito la sua vena fantastica.
Ebbene, dopo il successo a Venezia del documentario Sacro Gra, anche
all’ottava edizione del Festival
Internazionale del Film di Roma trionfa
una docufiction (come è stata definita) che racconta la vita sulle strade d’Europa
di un camionista professore.
Tir,
del Friulano Alberto
Fasulo, racconta la storia vera, anche se ricostruita, di un
plurilaureato croato, interpretato da Branko Zavrsan, che per guadagnare
qualche soldo in più diventa camionista in Italia. Lunghi silenzi, paesaggi
spiati dal camion e dettagli di una vita modesta, compongono un film fuori
dagli schemi che ha forse vinto a sorpresa ma con un verdetto che non è stato
contestato.
Un Festival che, a mio avviso, ha fotografato
l’attualità sociale. Questo preferire il contatto virtuale a quello fisico, lo
sguardo filtrato dalla Rete piuttosto che quello diretto, la comunicazione via
app, le chat on line, invece della chiacchierata davanti a una birra. E’ così
che la Giuria
premia la virtualità anche nell’arte. Ed ecco che il premio per la miglior
interprete va a Scarlett Johansson che
in Her non compare mai, se non in
voce. Ci domandiamo allora la validità del premio quando la pellicola arriverà
doppiata da un’altra attrice nelle nostre sale.
Presenza virtuale, per restare in tema, quella di Matthew
McConaughey,
vincitore come miglior attore per Dallas
Buyers Club, assente alla cerimonia di premiazione.
Una certa virtualità anche nei numeri di questa
Kermesse. Non si riesce a sapere il bilancio
finale sulle presenze alle
proiezioni. Secondo le cifre diramate dalla direzione del festival: i
partecipanti nelle varie sale della manifestazione sono solo ‘stimati’ e
indicati in 150mila. Sono sicuri invece i dati che arrivano dal web: 30.200 likes
su Facebook e 6.500 followers su Twitter.
Un “mi piace” solo virtuale, molte le lamentele per i
posti riservati agli accreditati, troppi gli accrediti venduti e troppo pochi i
posti riservati ai possessori dei passi. Comunque, dopo 163 film da 30 Paesi,
proiettati in 7 sale (poche rispetto alle precedenti edizioni) per un totale di
402 proiezioni, non sono mancate le note positive.
Il cinema italiano gode di buona salute: da Come il vento,
l’omaggio di Valeria Golino alla coraggiosa direttrice di carcere Armida
Miserere, all’attualissimo I Corpi
estranei di Mirko Locatelli sul problema dell’integrazione. E ancora L’ultima ruota del carro di Giovanni
Veronesi, quarant’anni della nostra storia politica filtrati dalla romanità
ironica di Elio Germano e Ricky Memphis, per non dimenticare Il mondo fino in fondo di Alessandro
Lunardelli, dove diversità ed ecologia fanno da sfondo a un’opera prima che
parte con le migliori intenzioni.
La sottoscritta, va controcorrente, nell’elogio di Out of the Furnace, il gangster-movie di Scott Cooper, criticato per una trama un po’ scontata, eppure il passo stanco di Christian
Bale, piegato dai dolori dell’esistenza, merita attenzione, la limpida fotografia di una periferia americana
desolata e triste, e la meravigliosa colonna sonora di un classico dei Pearl
Jam “Release”, per la prima volta prestato al cinema.
Insomma un mix di dolce e amaro. Anche il direttore
artistico Marco Muller ha dovuto riconoscere che:
“Inizia adesso il momento della verifica – ha detto Muller – quando sentiremo
le opinioni dei soci fondatori. Sono loro che devono, con il Presidente e il consiglio
di amministrazione, contribuire ad orientare il Festival. Ma da parte mia, con
tutto l’ufficio cinema, ci metteremo a tempestare di e-mail registi,
produttori, distributori, per sapere secondo loro cosa ha funzionato e cosa no,
che cosa c’era di buono ma anche cosa mancava. Su questa base dobbiamo
ridefinire”.
Sarà l’inizio o l’inizio della fine? Lo sapremo nella
nona edizione.
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