Kiroflessioni
Oggi è sabato. La sveglia non
suona. La sveglia non suona mai il sabato e la domenica, perché nei giorni di
riposo mi piace l’idea che il mio cervello sia libero di accendersi quando
vuole… e comunque non mi sveglio mai tardi, neanche quando la sveglia non
suona.
La luce filtra dalle tapparelle,
ma è tenue, deve essere nuvoloso.
La mia testa comincia a pensare,
oggi ho diverse cose da fare, parrucchiere, spesa, ospiti a cena; mi piacciono
le incombenze casalinghe del fine settimana, sono cose semplici, ma mi
rasserenano, la vita sembra così facile quando sei in fila alla cassa del
supermercato.
Mi alzo, sono la prima a farlo
fra gli abitanti della mia casa, bevo un bicchiere d’acqua, arraffo uno yogurt
in frigo e a gambe incrociate sul divano accendo la tv. Mi sento in colpa
quando la guardo di mattina, non so perché, credo sia sbagliato, perciò mi concedo solo il telegiornale che mi sembra
una scelta incontestabile.
Mi accorgo subito che c’è
qualcosa che non va, fumo, persone che scappano, urla… non è la prima volta che
le vedo al telegiornale e come tutti ormai ho perso la sensibilità a certe
immagini che provengono da luoghi lontani dove la guerra e il dolore sono una
quotidianità, ma oggi c’è qualcosa di più familiare, metto a fuoco bene quello
che sto guardando: è un attentato a Parigi, no due, quattro, cinque, sette! La
frase Parigi sotto attacco scorre
sotto le immagini, il cucchiaino carico di yogurt si ferma a metà tragitto,
alzo il volume.
Comincio ad ascoltare con
attenzione, le voci dei testimoni che raccontano piangendo i momenti di terrore
che hanno vissuto, i giornalisti che aggiornano il necrologio ogni pochi
minuti, le prime notizie sull’identità dei kamikaze… non sembra reale.
Siamo in guerra… forse sì. Ma io
non so cos’è la guerra, conosco solo la guerra che ho studiato su i libri e
quella che ho visto nei film e se domani andassi ad un concerto non mi aspetterei
che entrassero delle persone a sparare a caso sulla folla, perché è impossibile,
è troppo da immaginare per me.
De André in una meravigliosa
canzone raccontava la storia di un soldato di nome Piero che vedendo il nemico
indugiava qualche secondo a pensare che davanti a sé aveva un essere umano e che per quanto avesse
reso istantanea la sua morte a lui sarebbe rimasto il tempo di vedere “gli occhi di un uomo che muore”, ma
l’altro soldato vedendolo non aveva avuto per lui la
stessa premura e gli aveva sparato immediatamente. Ci deve essere un momento,
un momento oltre il quale non si torna più indietro, un momento in cui si perde
la capacità di vedere l’essere umano che c’è dall’altra parte e così rimane
solo l’odio a guidare le scelte, solo l’odio a prendere la mira in mezzo alla
folla.
Sento dei passi, ora posso
condividere con qualcuno il mio sgomento… sono rimasta a lungo a fissare le
immagini davanti al televisore, ad un certo punto ho anche smesso di ascoltare,
l’angoscia mi attanaglia. Non è solo paura, perché Parigi sarebbe potuta essere
Roma o una qualsiasi altra città, mi spaventa l’idea che più passa il tempo più
le persone invece di assomigliare al soldato Piero assomigliano all’altro che
non si ferma a riflettere, ma spara e basta, solo perché la guerra è un evento
inevitabile nella storia degli esseri umani.
Il mio sabato e, forse quello di
tanti altri, è iniziato così. Ora farò tutto quello che avevo preventivato di
fare, ma da oggi, ogni mio gesto, ogni mia scelta, saranno diversi perché mi guarderò sempre intorno alla ricerca del soldato
che non si ferma a riflettere.
- Sara Saurini -
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