Perché mai Momo
dovrebbe diventare grande? Perché chiedersi cosa accade dopo un atto di
coraggio? Perché mai ritrovare la bimba dai ricci ribelli in un futuro
distopico dal sapore di una fiaba moderna?
Sono queste le domande
che, con curioso interesse, mi hanno portata fino al Teatro Le Maschere lo
scorso 30 novembre per assistere allo spettacolo Momo e la città senza nome
di Giulia Bartolini.
Solo alcune sedie in
scena. Per raccontare le cose difficili è necessario saper semplificare e
devono aver compreso bene questa regola, per nulla banale, durante la
costruzione di questo originale spettacolo. Momo,
la Momo di Michael Ende, è ormai una donna e si rivolge ad una
psicoterapeuta per dipanare la matassa dei suoi ricordi. È faticoso diventare
grandi, lasciare che il presente costruito nel passato diventi il futuro.
Momo, lei che ha sempre
aiutato tutti, lei che ha sconfitto gli uomini grigi che tentavano di rubare il
tempo alle persone, lei si trova sola nel suo oggi a chiedersi come sia
accaduto di essere poi diventata adulta.
In un incalzante
alternarsi di ricordi e narrazioni, Momo inizia a raccontare la sua vita ad un’attenta
terapeuta. Tutti i protagonisti del romanzo di Ende assumono il volto e la voce
dei bravissimi attori in scena: Matteo
Berardinelli, Luisa Borini, Francesco Cotroneo, Flaminia Cuzzoli, Diletta
Masetti, Daniele Paoloni. Cassiopea, che nel romanzo originale è
una tartaruga, in questa particolare ricerca teatrale diventa una giovane donna e
prima ancora una bambina: la migliore amica della nostra giovane eroina.
Interessanti i passaggi
drammaturgici che rileggono questo capolavoro letterario in chiave contemporanea:
il rischio dei signori grigi in realtà non è finito. Qualcuno ancora è in giro.
O forse, non se ne è mai andato via.
“Come si ferma il tempo? Con un attimo che
dura quanto una vita intera, bambina”
La storia d’amore fra
lei e Gigi sta nella parabola generale della trasformazione nella coppia. Il
diventare grandi é abbandonare talvolta la bellezza dell’amicizia che nasce da
lontano. Non ci sono colpe in questa acuta analisi curata dalla regia di Giulia Bartolini, ma solo i
dati, quello che accade, quello che non dovrebbe accadere.
La scena è piena dell’incanto
del testo e della bravura degli attori. Movimenti scenici precisi come le
lancette dell’orologio di un grande artigiano. Un ritmo elegante, dirompente e
divertente che ci accompagna verso l’epilogo inatteso. Momo non è in un luogo
qualunque. È alla Clinica dei Ricordi perché lei quei ricordi non li vuole più.
Perché vuole smettere di rivivere ciò - che – è - stato.
Il tempo e i ricordi
cosa hanno in comune? Che si nutrono della nostra forza. Che ci guidano dove
noi li conduciamo. Per poter cancellare i ricordi Momo ha
dovuto ripercorrerli tutti e alla fine dell’avventura la dottoressa, che è
l’unica a poter procedere nel taglio del filo fra ciò che siamo e ciò che siamo
stati, ha una sola domanda per la nostra piccola grande amica: “Momo, sei
sicura?”
Buio. Il pubblico
rimane solo, immerso nel tepore della platea, ascoltando risuonare in se stesso
questa ingombrante domanda.
LA SCINTILLA
Pensare come i grandi. Immaginare come i più piccoli. Il teatro ci insegna che…
Indubbiamente questa
esperienza artistica merita di essere raccontata fra le righe della nostra
rubrica “Non chiamateli piccoli” perché ci permette sia di ricordare il
bellissimo romanzo di Michael Ende, sia perché
l’interessante lettura che ne fa Giulia Bartolini permette di
inquadrare il personaggio di Momo nella sua essenza più completa. Un eroina per
bambini che si rivolge ad un pubblico che dimentica di esser stato bambino.
Le chiavi di lettura
che lo spettacolo ci offre sono molteplici e gli spunti emotivi di grande
interesse: il passaggio all’età adulta con tutti i dubbi e le incertezze del
caso. Il fare i conti con il proprio essere individui immersi in una
costellazione di relazioni. E i ricordi? Perché arriviamo a sentire il bisogno
di non ricordare? Forse perché si diventa stanchi, qualche volta, e in quella
stanchezza si nasconde l’opera degli uomini grigi. Siete sicuri di voler
lasciare che il tempo non ci conceda più i ricordi? Momo e la città senza nome aspetta anche di conoscere la
vostra risposta.
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Raffaella Ceres -
_KIROLANDIA®_
Rassegna Nuova Drammaturgia – Incontri
MOMO e la città senza nome
Scritto da: Giulia Bartolini
Con (in o. a.): Matteo Berardinelli, Luisa Borini, Francesco Cotroneo, Flaminia
Cuzzoli, Diletta Masetti, Daniele Paoloni
Regia: Giulia Bartolini
Musiche: Andrea Cotroneo
Assistente regia: Paolo Marconi
Progetto Speciale
con il contributo della Regione Lazio
www.teatrolemaschere.it