Recensione critica dello
spettacolo “DAIMON - L’ultimo canto di John Keats” di Paolo
Vanacore,
regia di Gianni De Feo
Replica di venerdì tre febbraio duemilaventitré, Teatro
Lo Spazio – Roma
Per
alcuni attimi puoi anche socchiudere gli occhi, andare lontano con la tua anima
perché quelle parole, quelle immagini, quelle musiche, quelle luci e quei
silenzi, tutto oramai è parte di te…
In “DAIMON -
L’ultimo canto di John Keats”, andato in scena nel sempre accogliente TEATRO LO SPAZIO di Roma, le forme
d’arte dialogano tutte e si fondono completamente fino a creare un’unica voce
che racconta di quel profondo io, di quella vocazione interiore che nella vita appare,
s’affaccia, e poi spesso tende ad offuscarsi ma sempre rimane dentro per essere
custodita, salvata, rincontrata, vissuta.
L’atto
unico ottimamente scritto da Paolo Vanacore, che si apre a
molteplici interiorizzazioni quante sono le infinte sensibilità di ciascuno spettatore, prende chiaro spunto e racconta in modo intensamente leggibile il
concetto di “fare anima” di James Hillman,
psicologo junghiano. Del noto filosofo statunitense ne traccia l’esistenza, il
pensiero, descrive il nocciolo duro della sua idea, prendendo a cardine il suo
sentire e quell’incontro metafisico, trascendente con il poeta romantico John Keats, con i suoi versi, con il suo
divenire spirito guida. Lo splendido “DAIMON
- L’ultimo canto di John Keats” è un fluire di coscienze, di particolari,
di sfumature che si lambiscono, un andare nel tempo e nel vissuto, nell’essere,
che dal racconto biografico avanzano fino a plasmare un ampio mare di emozioni.
Quello che Vanacore crea è un vero e proprio viaggio, da Atlantic City a Roma,
dai luoghi dell’infanzia di Hillman al Cimitero Acattolico, un cammino dove si
fondono prosa, canto, poesia, immagine, un itinerario corposo, denso di differenti
tonalità, mai ermetico né puramente didascalico, fortemente comprensibile ma al
contempo altamente simbolico e lirico.
Gianni
De Feo
interprete e regista di questo sublime lavoro corale, sul palcoscenico è
sorprendente, la sua maturità interpretativa e la sua elevata sensibilità
artistica, il suo recitare, il suo cantare, il suo prendere continue forme
rappresentative fanno sì che lui riesca ad incarnare il quid. De Feo accoglie
in sé i tanti fili del narrare e con grande generosità li porta verso il
pubblico, invitandolo ad accostarsi completamente e divenire parte di quel
progetto che si sta rappresentando, a non rimanere spettatore e, quando lo
desidera, a vivere completamente lo spettacolo. La sua interpretazione è una
tela onirica, eppure tangibile, dove il sogno diviene sfondo, colore, idea, dove
ogni singolo gesto si tramuta in allegoria, dove anche un sospiro si eleva, si
stacca e da ricercata forma si tramuta in contenuto.
Così
l’universalità di questo progetto, trova nel susseguirsi delle immagini create
da Roberto Rinaldi, scenografie
potenti, rappresentazioni che scorrono, assumono ulteriori configurazioni del
narrato, del pensiero, ne ampliano i contorni, ne delineano peculiarità,
aspetti, possibilità che abbracciano l’intera platea spingendola con armonia ancor
più dentro la comprensione, accarezzandola ma anche scuotendola.
Una
pièce introspettiva dove gli arrangiamenti musicali, ideati da Alessandro Panatteri, per gli evocanti
brani di Franco Battiato e Giuni Russo, sorprendono, avvolgono e cooperano in
questo unicum emozionale. Uno spettacolo visionario in cui le stesse luci
accentuano i momenti di riflessione corale.
Un
bellissimo lavoro, dai lunghissimi e ripetuti applausi, a cui puoi dire solamente:
grazie.
Andrea Alessio Cavarretta -
_KIROLANDIA®_
DAIMON – L’ULTIMO CANTO di JOHN KEATS
di Paolo Vanacore
diretto e interpretato da Gianni De Feo
con l’amichevole partecipazione in voce di Leo Gullotta
arrangiamenti musicali di Alessandro Panatteri
videoarte Roberto
Rinaldi
Produzione Ipazia
Production
Ufficio Stampa Andrea
Cavazzini, Francesca Siciliano
www.teatrolospazio.it